” A rrina”, dono attraverso il quale si veicolava una influenza benefica sulle azioni dell’uomo, valida per l’intero nuovo anno. Una tradizione che aveva e conserva ancora un significato distinto in quanto portatore di buoni auspici. La tradizione resiste, il suo uso si tramanda dall’antica Roma e diverse sono le opere in cui poeti e scrittori riprendono e descrivono i modi in cui si manifestava e come veniva esternata da parte dei “rrinari” locali.
Nell’asso di tempo che sussiste tra la festività di Santo Stefano e l’Epifania, nella zona del Savuto, la tradizione spronava il gruppo di amici, ad “armarsi” di chitarra, fisarmonica, “saziere” o “ murtaru” per “portare” “a rrina”, a Strenna” , parenti e amici della zona. Una tradizione quella della “rrina” che fino a qualche decennio addietro era ben radicata sull’intero territorio e nel patrimonio storico culturale dei piccoli Comuni che si affacciano nel Savuto: in quasi tutti i borghi venivano organizzate iniziative e anche suggestive competizioni preparate con arte e passione in occasione delle festività che si concludevano con balli e canti natalizi. I canti augurali, venivano preparati con attenzione e le parole, le frasi venivano confezionate in base alle circostanze della famiglia destinataria della “rrina”.
La famiglia ricevente del dono accoglieva con piacevolezza , il messaggi di buona salute, di felicità e sovente anche l’ironia contenuta nei messaggi, espressi con il canto e il suono degli strumenti musicali, utilizzati dai “sonaturi”. Era consuetudine iniziare “a rrina” con questa frase: “senz’essere c!iamati simu venuti cari patruni siati bontruvati”.
Man mano che si andava avanti il canto e il suono aumentava di intensità, propagandosi nell’etere, rompendo il silenzio delle ore notturne. Dopo una prima parte di canti augurali dedicati al nucleo familiare, ai vicini di casa e parenti, si passava, con ritmi e melodia sempre più vigorose e ben cadenzate, ad altre parti ancora più interessanti come il cibo e il vino. La “rrina”si concludeva con l’invito ad aprire la porta per dare via alla convivialità. Entrati in casa, i “rrinari” venivano invitati ad assaggiare e bere in compagnia il buon bicchiere di vino del Savuto al quale seguiva il brindisi rivolto ai presenti.
La strenna, che nasce dall’antica Roma, affonda le radici nell’antichità, ha resistito alle suggestioni di una modernità che sembra aver fagocitato, e in parte dissolto, gran parte delle antichi e nobili tradizioni delle comunità del comprensorio Savuto.
Se il tempo non è stato generoso nella conservazione e nella riproduzione di questa tradizione che si perde nella notte dei tempi, la pandemia ha inibito qualsiasi cantore, qualsiasi corista e solo in qualche sporadico luogo si sono accordati gli strumenti musicali per accompagnare, a distanza e con timide voci, gli stornelli di buon augurio.
Solo poche persone hanno potuto godere di questo regalo, di questo tradizionale omaggio, di questo “dono” perché di dono si tratta. Questo sentire, questo significato è proprio racchiuso nella parola “strina” che deriva dal latino “strena” che indica, “DONO”. Il termine venne diffuso proprio dai romani nelle terre dell’Impero. Letteralmente indica, appunto un dono, un regalo, un buon augurio.
La pandemia, purtroppo, ha portato via anche questo momento di gioia e di allegria. Auguriamo che il prossimo anno si possa ripristinare questa armonia , si possa riprendere questa antica e allegra tradizione. Auguriamoci, infine, che l’Epifania oltre a portarsi via tutte le feste, si porti via soprattutto le angosce, le ansie e le sofferenze derivanti dal Coronavivirus e che nel Savuto, come in tutto il mondo, si possa ritornare a vivere e rivivere in armonia. francogarofalo1@gmail.com