Viviamo per le apparenze? Forse sì. O forse ci siamo dentro senza accorgercene.
Una frase ricorrente nei discorsi quotidiani, spesso pronunciata con una punta di amarezza o disillusione, è: “Ormai tutti vivono di apparenze.” Ma cosa significa, davvero, vivere di apparenze? E soprattutto: siamo sicuri che non stia succedendo anche a noi, magari in modo inconsapevole? Vivere di apparenze: una definizione pratica e psicologica. Vivere di apparenze significa costruire un’immagine di sé che piaccia agli altri, anche a costo di rinunciare alla propria autenticità. Vuol dire mostrarsi sempre all’altezza, anche quando dentro si crolla. È vivere secondo lo sguardo dell’altro, in una sorta di teatro sociale in cui la scena conta più del retroscena. Chi vive di apparenze si veste, parla, pubblica contenuti e prende decisioni per essere approvato. Mostra felicità anche se soffre, evita il fallimento per non incrinare la maschera, reprime il disagio per non sembrare fragile. Ma il prezzo da pagare è alto: la libertà personale si restringe, l’identità si appiattisce e la vita somiglia sempre più a un palcoscenico che a un percorso autentico.
Il punto di vista sociologico: siamo tutti attori?

Secondo Erving Goffman, sociologo canadese, la vita quotidiana è simile a una rappresentazione teatrale. Ognuno di noi, scrive Goffman, mette in scena sé stesso per ottenere conferme, consenso e appartenenza. Nel suo saggio La vita quotidiana come rappresentazione (1959), Goffman distingue tra “ribalta” e “retroscena”: ciò che mostriamo e ciò che siamo quando nessuno guarda . Ribalta e retroscena, sarebbero due spazi in cui si svolge la nostra vita sociale, utilizzati per analizzare come le persone gestiscono la presentazione di sè. La ribalta è lo spazio pubblico, dove si recita un ruolo e si cerca di controllare l’impressione che si lascia sugli altri. Il retroscena, invece, sarebbe lo spazio privato, dove si possono mettere in atto comportamenti che non si mostrerebbero in pubblico. La metafora del teatro è significativa e Goffman ricorre alla “ribalta” e ” Retroscena” per evidenziare come gli individui costruiscono la propria identità sociale in base al pubblico e al contesto in cui si trovano. Le teorie di Goffman hanno suscitato, comunque, interesse , mettendo in luce la necessità di sviluppare modelli teorici più integrati e complessi per comprendere la realtà sociale. Oggi, comunque, di fronte alla diffusione dei social media, possiamo sostenere che questi siano diventati veramente il nuovo palcoscenico universale. Si condividono momenti selezionati, volti filtrati, storie costruite per piacere. E non sempre ci si rende conto che, in questo processo, ci si allontana da sé stessi.
La spirale invisibile: consapevoli o complici?
Siamo dunque tutti dentro questa spirale, più o meno consapevolmente. Anche chi pensa di non farne parte può, in qualche misura, essere coinvolto: basta una scelta fatta “perché si fa così”, una rinuncia a dire la verità per non sembrare “fuori luogo”, un sorriso forzato per “non creare problemi”. La sociologia ci insegna che i comportamenti individuali rispondono anche a logiche collettive. Vivere di apparenze non è solo una questione di vanità personale, ma anche una risposta adattiva a una società che premia la forma e scoraggia la vulnerabilità. La nostra identità è considerata un dono sociale, una costruzione che deriva dalle interazioni sociali e dal riconoscimento che riceviamo dagli altri. Non è innata ma costruita.

In un contesto in cui essere autentici può significare esporsi, rischiare, restare soli, non sorprende che molti scelgano la via dell’apparenza. Ma è una scelta libera o una forma di sopravvivenza sociale? Solo il singolo individuo è nelle condizione di sapere se ciò che fa è onesto, esatto, aperto e valido, o falso, chiuso e non valido. Forse, in fondo, non si tratta di scegliere tra apparenza o autenticità in modo assoluto, ma di imparare a riconoscere quando indossiamo una maschera e perché. La domanda da porci, allora, non è “viviamo di apparenze?” Ma quanto della nostra vita è scelta e quanto è recitazione? Riconoscere la differenza è il primo passo per tornare a guardarci allo specchio senza paura, senza filtri, senza bugie.
Perché l’apparenza protegge… ma non nutre. Solo l’autenticità consola – Francesco Garofalo (sociologo) copyright © 2025 Francesco Garofalo. Tutti i diritti riservati.