Da Durkheim ai giorni nostri, come sono cambiati i valori condivisi: la fine della comunità educante, la frammentazione del senso comune e la sfida di ricostruire legami in un mondo dominato da individualismo e tecnologie.
Nel cuore del pensiero sociologico di Émile Durkheim, uno dei padri fondatori della sociologia moderna ( 1858-1917), la coscienza collettiva occupa un posto centrale. Nel suo volume De la Division du travail social del 1983 Durkheim cosi definiva la coscienza collettiva: ” l’insime delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri d’una medesima società forma un sistema determinato che ha una sua propria vita. Lo si può chiamare la coscienza collettiva o comune”. Per Durkheim, essa rappresenta l’insieme dei credi, dei sentimenti morali e dei valori condivisi che tengono unita una società, che plasmano l’individuo e regolano i rapporti sociali. È un vincolo invisibile, ma potente, che permette la coesione del gruppo e la sopravvivenza della comunità stessa. Durkheim distingueva tra due tipi di solidarietà sociale: meccanica, tipica delle società tradizionali, in cui la coscienza collettiva era fortemente uniforme e sovrastava quella individuale, e organica, propria delle società moderne, più complesse e differenziate, dove la coscienza collettiva si riduce ma si adatta alla divisione del lavoro sociale, trovando coesione nella complementarità dei ruoli. Tuttavia, nel tempo, questa coscienza collettiva si è progressivamente indebolita. Oggi, nell’epoca che potremmo definire del “trionfo degli egoismi generali”, si assiste a una frantumazione dei valori condivisi, a una disgregazione del senso di appartenenza e a una crisi profonda del “noi” comunitario. Un tempo, nella cosiddetta comunità educante, ogni adulto, ogni anziano, ogni figura sociale si sentiva responsabile — direttamente o indirettamente — dell’educazione dei più giovani. L’intera società partecipava alla costruzione dell’individuo. C’erano regole condivise, non solo giuridiche, ma soprattutto etiche e morali, che ispiravano i comportamenti collettivi e favorivano il rispetto, l’altruismo, la solidarietà. Oggi, questi capisaldi sembrano smarriti. L’individualismo, l’ipercompetizione, l’apparenza come valore, la logica del “tutto e subito” alimentano una coscienza collettiva debole, liquida, spesso manipolata o sostituita da bolle digitali, fake news e algoritmi. La comunità non educa più: osserva, giudica, isola o celebra in modo acritico. La morale comune non è più il frutto di un percorso condiviso, ma la somma confusa di impulsi individuali, interessi particolari e narrazioni personalizzate. In questa situazione, possiamo ancora parlare di coscienza collettiva? Sì, ma in modo molto diverso rispetto al passato. Oggi, essa è frammentata, segmentata in micro-bolle sociali e culturali che convivono nello stesso spazio fisico o digitale ma non dialogano tra loro. Esistono ancora valori condivisi, ma sono spesso deboli, temporanei o imposti dall’alto (dalla politica, dai media, dalle multinazionali del digitale), più che nati da un’elaborazione comunitaria.

La mancanza di una coscienza collettiva forte e condivisa genera conseguenze rilevanti: aumento dell’isolamento, crisi delle istituzioni educative, sfiducia nel prossimo, crescita dell’intolleranza e della violenza, senso di disorientamento soprattutto tra i più giovani. La comunità perde così la sua funzione coesiva, diventando un insieme di individui che coesistono, ma non cooperano, che convivono, ma non si comprendono. Quale futuro, dunque, per la coscienza collettiva? Proiettare al domani è sempre difficile, soprattutto in un’epoca in cui tecnologia e globalizzazione trasformano in modo repentino le nostre vite. Tuttavia, alcune direzioni possibili si intravedono.
La sfida sarà quella di ricostruire una coscienza collettiva non più imposta dall’omologazione, ma costruita attraverso il dialogo, il riconoscimento delle differenze e la riscoperta dei legami comunitari. Le tecnologie potrebbero diventare strumenti di connessione autentica, se usate con consapevolezza, e le reti digitali potrebbero sostenere nuove forme di solidarietà e partecipazione. La speranza risiede nella possibilità di ricomporre i frammenti, recuperando la dimensione etica del vivere insieme. È urgente, allora, riscoprire il senso della comunità come spazio di reciprocità, e ripensare la coscienza collettiva come patrimonio da costruire insieme, ogni giorno, nella scuola, nel quartiere, nel lavoro, nella politica. Solo così potremo restituire alla società un orizzonte comune di senso, senza il quale nessuna civiltà può davvero dirsi tale ( Francesco Garofalo- sociologo)