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A proposito della ” dolce morte”

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Quella frase pronunciata da Marco Cappato, insieme alle immagini riproposte dalle varie emittenti televisive nazionali di Fabo e della sua fidanzata, si riflettono nelle coscienze più sensibili della nostra comunità, sollecitata a riflettere sulle “Libertà” di ciascun individuo . “Fabo è morto alle 11:40. Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo”. Questa comunicazione fornita da Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che ha accompagnato Dj Fabo, in Svizzera dove è stato ricoverato in una clinica per ricevere il suicidio assistito, conduce ciascuno di Noi a riflettere sul significato della vita, sulla dignità e sul rispetto della persona, ma soprattutto sul significato del dolore e della sofferenza emotiva a cui l’individuo è sottoposto a causa di eventi traumatici, infermità e deficit di ogni genere. Conduce ciascuno di Noi a riflettere anche sul significato della guarigione, sul significato dei miracoli e sul ruolo della medicina, ma soprattutto sul significato valoriale che ciascuno di Noi attribuisce al corpo, alla psiche e all’esistenza stessa.
L’essere umano non è una macchina, non è nemmeno un organismo. E’ qualcosa in più, e ancora la scienza non fornisce l’intera verità del suo perfetto funzionamento. Il mistero ancora persiste attorno alla persona che è fatta di carne, di psiche, di cultura.
In questo quadro complesso e variegato di essere umano, la vita si esprime in una “diversità” di lingue, di immagini, di colori e altrettanti modi di concepire la propria esistenza nel pianeta terra.
Nel nostro Paese, nella nostra società, come sappiamo, è ben radicato un tipo di cultura nella quale il “dolore” la “sofferenza” sono visti ancora come strazi da sopportare, da tollerare rispetto ad una pena da espiare . Il concetto stesso di dolore, ma anche di morte, di decesso, ci conduce a rapportarci con l’ “eutanasia attiva”, con l’eutanasia passiva o il “ suicidio assistito”, tre metodi, tre scelte diverse per dire No all’inferno delle sofferenze prodotte, subite e non desiderate.

La malattia, la morte, la sofferenza sono espressioni di natura culturale e la percezione varia a seconda della coscienza formata in una determinata società e comunità. Sul modo di percepire e di essere consumato dal dolore, non solo fisico ma psichico e culturale incide l’accettazione, il ripudio, la tolleranza o la regolamentazione normativa sull’ eutanasia o il suicidio assistito. Lo Stato, in quanto persona giuridica, ha il compito di farsi carico del fenomeno sociale che si sta diffondendo all’interno del proprio Paese, evitando che la sofferenza, il dolore possa essere annientato altrove, fuori dai propri confini, dotandosi di una legge chiara per uscire dall’ambiguità e dall’incertezza