Oggi si celebra la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, più comunemente conosciuta come il Giorno dei Morti. Una ricorrenza antica, carica di memoria e significato, che nel territorio del Savuto e del Reventino continua a rappresentare un momento di raccoglimento, fede e tradizione popolare. Le origini di questa celebrazione risalgono al 998, quando sant’Odilone di Cluny, abate benedettino e promotore della riforma cluniacense, stabilì che al termine dei vespri del 1° novembre si suonassero le campane a lutto, e che il giorno successivo si celebrasse l’eucaristia “pro requie omnium defunctorum” — per il riposo di tutte le anime dei defunti.
Una pratica che da Cluny si diffuse progressivamente in tutta la cristianità, dando vita a una delle più sentite ricorrenze del calendario liturgico

Ma le radici di questa giornata affondano anche in antichi riti pagani, legati al ciclo della natura e alla morte simbolica della terra con l’arrivo dell’inverno. In epoca cristiana, questa simbologia si è intrecciata con il culto dei defunti, dando vita a tradizioni popolari che ancora oggi conservano un profondo valore umano e spirituale. In molte comunità del Savuto e del Reventino, il 2 novembre resta un giorno dedicato al silenzio e alla preghiera, ma anche alla condivisione e al ricordo. Le famiglie si recano nei cimiteri per ornare le tombe con fiori e ceri, segno tangibile di una memoria che non si spegne. L’usanza di accendere un lumino o una candela sul davanzale della finestra è ancora viva in diversi paesi del comprensorio: secondo la tradizione, quella piccola luce indica ai defunti la strada per ritrovare la via di casa. Anticamente, nelle campagne del Savuto come in molte aree del Catanzarese e del Vibonese, si lasciava la tavola apparecchiata nella notte tra il 1° e il 2 novembre per accogliere simbolicamente i propri cari “tornati in visita”. In alcune zone, si deponeva perfino un mazzo di carte, se il defunto era uomo, o un bicchiere di vino accanto al pane. Nel Catanzarese, le zucche intagliate, dette “coccalu d’u mortu”, richiamavano le lanterne usate nei Paesi anglosassoni per Halloween, ma con un significato più intimo e meno ludico: illuminare il cammino delle anime e tenere viva la loro presenza. Nel Cosentino, la commemorazione assumeva un tono più solenne. Dopo la processione e la recita del rosario, le famiglie si riunivano per condividere un pasto semplice ma abbondante, segno di un legame che univa i vivi e i morti nella stessa comunità. In alcuni borghi, poi, era consuetudine “sfamare i defunti attraverso i poveri”: a questi ultimi si offrivano cibo o ospitalità, come gesto di pietà e di solidarietà, convinti che ogni atto di bene giungesse fino alle anime dei propri cari.
Oggi molte di queste usanze si sono affievolite, ma il 2 novembre resta una data profondamente sentita.
È un giorno che invita alla riflessione, che spinge gli adulti a riscoprire il valore della memoria e insegna ai più piccoli ad affrontare il mistero della morte senza paura.
Nel silenzio dei cimiteri del Savuto e del Reventino, illuminati da migliaia di candele, si rinnova ogni anno un dialogo antico tra la terra e il cielo, tra la fede e l’affetto, tra ciò che è finito e ciò che continua a vivere nel ricordo.